«Abbiamo davvero sconfitto una grande corporation in due giorni? E vai! La chiameremo la Grande Internet-Rivolta di Pasqua. Ve l’avevo detto che Twitter è una potente arma politica ». Così twitterava ieri Stardragonca, nella fotina un signore barbuto e gay. Si compiaceva, con altre decine di migliaia di utenti, gay ed etero, per la vittoria riportata nella web-battaglia Twitter contro Amazon. Amazon, il più grande sito-libreria (e ora molto altro) del mondo, aveva messo un filtro che escludeva 57.310 libri causa argomenti e/o autori omosessuali (c’erano anche saggi di sessuologia e di medicina) dalle classifiche online e dalle ricerche di routine. Se ne è accorto per primo lo scrittore Mark Probst (specializzato in western con cowboys che si amano) ed è partita la protesta. All’inizio i portavoce di Amazon hanno detto che i libri contenevano «materiale per adulti» e i filtri erano stati creati «tenendo conto della sensibilità dell’intera base dei nostri clienti». L’intera base dei clienti poteva continuare a comprare in tre cliccate fotolibri di nudi di Playboy, autobiografie di pornostar e vibratori, ma pazienza.
Ma non è stata presa bene. Si è mobilitato Facebook, si è scatenato Twitter: «solo» 14 milioni di utenti; generalmente occupati a farsi i fatti propri e degli altri in 140 battute; ma con la possibilità di discutere e intervenire in massa su pagine di singoli «tags». E il tag più twitterato a Pasqua è stato «Amazonfail». Seguiva inondazione di e-mail ad Amazon e dibattito a macchia di leopardo su siti di notizie e blog. Seguiva, lunedì, una spiegazione minimalista di Amazon. Il filtro anti-gay, si leggeva, era dovuto a un «grossolano disguido di catalogazione». E poi - inevitabile sul Web, e per questo il Web è arma potentissima però spesso inaffidabile - c’è stata ieri una ridda di fanta- notizie: un hacker che si autoaccusava di essere entrato nel sistema di Amazon con l’aiuto di sotto-hacker africani; una «fonte interna ad Amazon » che rivelava come l’errore fosse dovuto a un impiegato francofono che aveva piazzato male le parole chiave dei filtri, colpa della sua scarsa conoscenza dell’inglese (strano l’avessero chiesto a lui). Eccetera. Poi da Seattle, quartier generale della weblibreria, sono arrivate altre scuse, e garanzie. Ieri pomeriggio vari romanzi e saggi di autori gay e lesbiche, manuali di self-help per adolescenti omosessuali, e altri loschi testi erano di nuovo rintracciabili. Una buona notizia per chi difende i diritti civili e per chi ama la letteratura: nel buco nero del sito erano finiti tra gli altri Gore Vidal, James Baldwin, E. M. Forster (quello di Maurice e Camera con vista), e il commediografo Larry Kramer. Che aveva lanciato, sempre online, un appello per boicottare Amazon, e aveva rapidamente raccolto 18 mila firme. E ieri dichiarava: «Non credo sia stato un errore. Dobbiamo tenere d’occhio Amazon e il modo in cui maneggia il patrimonio culturale dell’umanità».
Con parole meno alate, ora in tanti si dicono preoccupati. Per i più giovani, per i lettori forti di città e Stati senza librerie, per i lettori curiosi di tutto il mondo, finora, Amazon era una certezza, e una garanzia di libertà; di poter comprare e ricevere (quasi) qualunque libro. O di viaggiare leggeri con la propria biblioteca, poi, adesso: da quando vende il Kindle, videolibro sottile che contiene fino a 1.500 titoli. «Ma ora non riesco più a guardarlo con affetto, il mio Kindle», si lamentava ieri un twitteratore. È stata una disillusione, per i più ingenui; per altri, una presa di coscienza della nuova realtà. Fatta di organizzazioni Web gigantesche e virali. Possono imporsi come un Grande Fratello, possono essere usate per reagire (si spera; non si sa ancora come e quanto cambierà, il Web; certo stavolta l’Amazon di Jeff Bezos, tentando di offrirsi come megastore perbene al pubblico medio, ha fatto una figuraccia; ma non resterà un caso unico, è probabile; anche essere cittadini di Internet ormai è una bella fatica).
fonte: corriere